Leggo su Punto Informatico di oggi una notizia relativa al clamore che desta la denuncia per diffamazione appioppata ad un blogger per aver pubblicato una notizia poi rivelatasi infondata.

Ovviamente si alzano forti le voci che condannano una censura miope e ostile. Per canto mio mi trovo invece a pensarla in modo completamente differente. Non penso, infatti, che questo atto di “censura” abbia lo scopo di colpire la libertà di pensiero e di espressione esercitato tramite lo strumento internet proprio per il fatto che i “blog” sono sempre meno punto di espressione di una personale libertà di raccontare il proprio vissuto, le proprie esperienze (informatiche o meno), di gestire, insomma, informazioni che riguardano da vicino il titolare del sito. Al contrario i blogger, sempre più spesso, pubblicano a mo’ di grancassa, sempre le stesse notizie mediante automatici copia e incolla che, ormai, di personale non hanno più nulla.

E’ inevitabile quindi che le notizie, poi rivelatisi false, acquistino una “verità” autonoma, indipendentemente dai contenuti, per il solo fatto che è pubblicata più e più volte il che induce il lettore ad attribuirne solidi fondamenti. E quanto più la notizia viene “percepita” come concreta, valida e verificata, tanto più l’immagine lesa del soggetto che se la vede attribuire risente di evidenti danni: pulirsi l’immagine dopo che ti hanno sputato addosso fango è cosa piuttosto difficile.

Per questo le scuse del blogger in questione, che ammette di “essere forse stato ingenuo”, non sono per me sufficienti. Bene ha fatto dunque la polizia postale ad accogliere la lamentela del querelante e ad agire di conseguenza.

Il problema non è quindi limitare la libertà di esprimersi (che in italia mi sembra sia abbondantemente garantita) quando il limitare le possibilità di danneggiare gratuitamente il prossimo senza le dovute verifiche.