Leggo oggi uno (dei tanti) articoli pubblicati da Punto Informatico relativo alla causa intentata da una associazione no profit canadese nei confronti della PA dello stesso Canada “reo” di aver optato per una soluzione software proprietaria a discapito delle diverse e sicuramente molteplici possibili soluzioni open (leggasi Linux e suoi accessori). I dettagli dell’articolo qui.

L’articolo, come dicevo, è uno dei tanti sull’argomento e può vantare diversi richiami anche nelle faccende di casa nostra. Il tenore dei molti post a commento della notizia tende poi, inevitabilmente, a trascendere nell’invettiva caratteristica della più pura guerra di religione tra sostenitori dei due mondi.

Da operatore del settore non posso negare che esista, di fatto, una situazione di monopolio costruita abilmente nel tempo dal più grande produttore di software al mondo, ma non posso nemmeno negare che questa condizione sia, allo stato attuale, talmente radicata nelle abitudini di utilizzo di una debordante maggioranza di utenti che ne rende molto difficile lo scardinamento. E non posso nemmeno negare che la natura stessa del software “open” (così in contrasto con i classici principi di mercificazione) sia un notevole ostacolo ad una sua diffusione più ampia motivo per cui i suoi sostenitori, spesso, cadono nell’errore di voler evangelizzare a tutti i costi i propri “vicini”. Ma non si può, peraltro, scindere l’adozione di un software dal contesto nel quale questo ci si aspetta che operi. Trascuro volutamente qualsiasi considerazione in merito alla liceità o meno di moltissime licenze di software proprietario “nel possesso” di moltissimi utenti privati, di aziende, di piccoli professionisti, di artigiani, di grandi aziende e anche della pubblica amministrazione: il costo di tali licenze ed il titolo di acquisto non è rilevante per queste mie brevi riflessioni.

Ciò che è rilevante, a mio modesto modo di vedere, è il fatto che un computer, oppure un complesso di computer (per esempio in una azienda) non è fine a se stesso: è fatto per comunicare. La globalizzazione favorita ed accelerata dal web rende inevitabile ed indispensabile la comunicazione con interlocutori esterni al proprio ristretto ambito produttivo: ne consegue che è sempre più importante che i computer parlino la stessa lingua prima ancora che le persone. Ecco perchè, ritengo, più ancora della scelta dei software, assuma rilevanza la scelta dei formati: in un mondo ideale nel quale, a puro titolo di esempio, un foglio elettronico è memorizzato su file in un formato universalmente riconosciuto, allora davvero l’utente consumatore, l’azienda produttiva, la pubblica amministrazione ecc. potrebbero scegliere con maggiore autonomia e serenità quale applicazione utilizzare per manipolare i dati contenuti in quel foglio.

Purtroppo il mondo non è mai “ideale”: è fatto di diversità, di abitudini difficili da abbandonare e, perchè no, anche carenza di disponibilità nella ricerca di soluzioni nuove. Carenza, quest’ultima, che può essere causata da semplice accidia oppure da concrete ragioni economiche che, valutati i costi di un “possibile aggiornamento”, giustifichino la permanenza nell’ambito del software c.d. closed.

Personalmente, se potessi evitare di interloquire elettronicamente con clienti che mi inviano costantemente documenti rigidamente formattati con Microsoft Word o Excel oppure Power Point con orrende animazioni, se riuscissi a convincere i miei clienti a non inviarmi spool di stampa generati da XPS Writers o Microsoft Office Document Image Writer allora abbraccerei di buon grado ed in toto il mondo open anche per i desktop aziendali : ma questo purtroppo non è possibile perchè mi taglierei da solo una fetta consitente del mio mercato. E parimenti mi metto nei panni di chi, digiuno (totalmente o in parte) di una cultura informatica, si trova a dover “maneggiare” ad esempio con OpenOffice (che non è Microsoft Office) oppure con una delle tante distribuzioni Linux (che per quanto user-friendly non sono Windows).

La guerra quindi non è nè contro Microsoft nè a favore del mondo open, con il suo emblematico Linux in testa ad una variegata e validissima collezione di soluzioni. Meglio dire che la guerra non c’è proprio.

Il problema, vero, è nella mentalità della gente: la stessa mentalità che porta inspiegabilmente a scegliere, ad esempio, la macchina di sempre maggiore cilindrata, che consuma di più … quando tutti gli avvisi che riceviamo ci dicono che viviamo in un mondo in cui l’inquinamento è arrivato a livelli ormai insostenibili ed il petrolio dovrà essere sotituito da fonti rinnovabili.

Scalzare un modello economico che instilla nella gente la percezione del “bisogno” di possedere il tal bene, che ne manipola le percezioni, che ne indirizza i gusti e le abitudini è impossibile. Perchè non è il modello economico che è sbagliato … è la mentalità delle gente che è debole.