Ed alla fine è arrivato l’annuncio ufficiale: per la modica cifra di 8.5 miliardi di dollari, il gigante di Redmond si è aggiudicata l’azienda il cui nome è stabile sinonimo di VOIP (Voice Over IP). I tecnici ovviamente inorridiranno udendo questa mia affermazione. Sento già le obiezioni : “VOIP è un’altra cosa … più complessa e sofisticata … magari già utilizzata senza consapevolezza … Skype è più una chat …” ecc. Tuttavia si tende a sottovalutare un aspetto che, a quanto pare, hanno ben valutato gli advisor di Microsoft nell’arrivare a proporre una cifra del genere. La potenza del brand.

Fin dalla sua apparizione Skype ha avuto un impatto fortissimo sullo strato dei “middle-users” che vedevano (forse a ragione) un nuovo modo per liberarsi dalla schiavitù della tariffazione telefonica a tempo, facendo transitare le proprie comunicazioni sul più economico canale dati che, tra l’altro, è spesso concesso in abbonamento a tariffe flat. Si arrivò addirittura all’assurdo di chiedere (ed ottenere) skype sui cellulari nella fortissima convinzione che costasse di meno utilizzare il canale dati per conversare piuttosto che la fonia standard: e stiamo parlando di un paio d’anni fa quando ancora 1 megabyte trafficato sul cellulare costava qualcosa come 12 euro o giù di lì. Le telco che forniscono servizi di interconnessione (sia dati che fonia) non ci hanno messo molto a capire l’antifona e si sono adeguate di conseguenza: in prima battuta hanno imparato anche loro a convogliare il traffico voce sui canali dati e da ultimo, come dimostrato dalle recenti dichiarazioni di Vodafone, si stanno adoperando per limitare l’utilizzo di skype (et similia) al puro scopo di non perdere quella importantissima fetta di guadagni che deriva dalle conversazioni telefoniche. E hanno anche imparato a gestire al meglio la mutazione della fonia mobile che ora è assurta a livello di estensione portatile del web.

Eppure, nonostante sia dimostrato che Skype non permetta il raggiungimento di sensibili risparmi economici, nonostante, a parte la fonia, non aggiunga nulla di particolarmente nuovo ad una banalissima chat con funzioni di condivisione documenti, nonostante il suo utilizzo sia, in alcuni casi, addirittura controproducente (basti pensare alle installazioni in azienda per conversazioni all’iterno della LAN) … nonostante tutto questo il nome ha guadagnato sempre maggior diffusione e credibilità presso parco degli utenti, tanto da diventare sinonimo di comunicazione alternativa alle email. Ci provò a suo tempo Google con il progetto Wave … ma fallì miseramente.

E nel marketing Microsoft non ha rivali : non ha perso l’occasione di inglobare nella sua galassia un nuovo nome che rafforzi quel rapporto di fidelizzazione del cliente sulla cui solidità l’azienda di Redmond costruisce il suo successo. Basti pensare a quanti marchi registrati o denominazioni Microsoft sono diventati sinonimi di utilizzo comune: doc per indicare un documento di testo è indelebilmente associato a Word, con Excel si indica generamente un foglio elettronico (anche se generato da Calc o da 1-2-3 di lotus) … ah già … dimenticavo … poi c’è Windows.

Da questa acquisizione è inevitabile l’assimilazione di una tanto sconfortante quanto concreta realtà: l’attribuzione di un valore tanto alto ad un marchio (e questo vale per Skype come per Facebook o Twitter ecc.) trova giustificazione nella sua smodata popolarità nonostante possano (anche se non sempre) soluzioni alternative, perfettamente interoperanti e spesso open-source che meglio descriverebbero un parco di utenza eterogeneo. Al contrario ci troviamo di fronte a enormi concentratori che soffrono di bulima compulsiva : Microsoft, Google, Apple …. non sono più dei marchi, delle aziende … sono diventati, stanno diventando, padroni del nostro modo di comunicare, di gestire le informazioni elettroniche, possibili gestori abusivi dei nostri dati.

Di tutto questo forse siamo coscienti … ma se cerchiamo l’alternativa per liberarci dalle catene di possibili controlli, contratti di licenza che nemmeno il Diavolo in persona proporrebbe a chi sta per vendergli l’anima, costi di up-front spesso ingiustificati ecc. rimaniamo delusi da un mondo, quello dell’Open-Source (e dio mi guardi dal pronunciare la parola free) che soffre, più che di crisi di guadagni, di crisi di identità … che vive nell’incapacità di potersi affermare come entità omogenea e, perchè no, spesso unitaria, o che non riesce a dare risposte in tempi ragionevolmente accettabili.

Un esempio è il progetto del plug-in Funambol per Thunderbird 3: da quasi un anno se ne attende il rilascio di una versione stabile senza successo. Del resto lì non c’è vero mercato, lo sviluppo è lasciato a volontari, manca un progetto finanziato e delle aspettative di revenue (Funambol non vende nulla agli end-user).

Insomma … l’era del futuro tecnologico che possa aprire un mondo di nuove possibilità è, con molta probabilità, già alle spalle: quello che ci aspetta è un futuro fatto di nuove tecnologie che volenti o nolenti ci saranno imposte, pena l’essere emarginati da una società che non è più in grado di scegliere.